BAR TRATTORIA ANCONELLA   Piatti tipici bolognesi e carni toscane, crescentine e piadine.         

 

 

 

 

 

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La storia della Futa

 

 La Futa

Le valli appenniniche furono probabilmente abitate sin da tempi antichissimi come dimostrano toponimi quali Savena, che risalgono
ad epoche preromane. La presenza di popolazioni implica l’esistenza di strade ed è probabile che i Romani si siano appoggiati a
preesistenti tracciati nel realizzare le vie di comunicazione transappenniniche. Una di queste arterie, detta Flaminia minore, per
non confonderla con la più celebre Flaminia che collegava Roma e Rimini venne ideata nel periodo di conquista della Gallia
cisalpina che vide anche nel 189 A.C. la fondazione dell’odierna Bologna.

Nel 187 A.C. il senato affidò ai consoli M. Emilio Lepido e C. Flaminio (il cui padre era il fautore della via Flaminia fra Roma e
Rimini) la missione di sgominare la popolazioni liguri stanziate sull’Appennino. L’operazione militare fu accompagnata dall’
esecuzione di due importanti tronchi stradali: la via Emilia, che collegava Piacenza a Rimini, realizzata da Lepido e la Flaminia
(minore) fra Bologna ed Arezzo, opera di C. Flaminio.

Mentre l’importanza della via Emilia crebbe nei secoli ed il suo tracciato risulta tuttora utilizzato, della Flaminia (minore) si
persero col tempo le tracce.

Ancora oggi gli storici sono divisi su quale potesse essere il reale tracciato romano dato che la due ipotesi emerse dalle
ricerche sono entrambe valide.

La prima ipotesi si rifà all’esistenza del toponimo flamenga che viene considerato derivante dal nome della strada romana; il
tratto emiliano della Flaminia sarebbe cioè individuabile in un tracciato che muovendo dall’antica Claterna (oggi località Maggio)
si snoda sul crinale che separa le valli dell’Idice e del Sillaro sino al Sasso di San Zinobi ed al passo della Raticosa; la
seconda ipotesi trae origine da un brano della storia di Roma di Tito Livio in cui racconta che mentre il console E. Lepido
sconfiggeva le popolazioni accampate nei territori di Balestra e Montium C. Flaminio per non lasciare i soldati nell’ozio faceva
costruire una strada da Bologna ad Arezzo; se si aggiunge che il dizionario settecentesco del Calindri accenna ad un’antica strada
nei pressi di Monte Bastione, risulta naturale il ritrovamento di un lastricato che si estende, sebbene con alcune interruzioni,
per circa sette chilometri tra gli estremi di Monte Bastione e passo dello Stale, di (si presume) epoca romana.

Tale strada avrebbe probabilmente lasciato Bologna dalla direzione dell’odierna porta San Mamolo per toccare località dal nome
tipicamente romano di Sesto (che dista esattamente sei miglia romane dalla cinta muraria della città), Ottò e None, poste sulla
riva sinistra del Savena; inerpicandosi poi sul crinale, attraverso Brento, Monterumici, Monzuno e Montevenere raggiungendo il
tracciato ritrovato a Monte Bastione fino al passo della Futa.

Si può arrivare a dire che entrambe le ipotesi possano essere valide e che probabilmente in periodo romano entrambe le strade
siano state utilizzate dato che altre testimonianze del tempo alludono al fatto che esistesse una strada che congiungeva in
maniera diretta la “neonata” Firenze a Bologna data la loro crescente importanza rispetto a Claterna (in Emilia) ed Arezzo (in
Toscana), mentre rimaneva in uso il tratto lungo il crinale fra Idice e Sillaro.

I secoli oscuri delle invasioni barbariche e la successiva penetrazione Longobarda portarono ad una pressoché cessazione degli
scambi fra i due versanti appenninici dato che, mentre i Longobardi avevano occupato la zona toscana già intorno al 570, Bologna
ed il territorio appenninico a se stante rimasero sostanzialmente indipendenti fino al 727.

Fra questa data ed il 751, anno in cui Astolfo si impadronì di Ravenna, il territorio appenninico venne a ricadere nuovamente
sotto un unico dominio.

L’arrivo di Carlo Magno in Italia aprì poi l’epoca del feudalesimo al quale corrispose un fiorire dei piccoli poteri locali che
portarono poi alla nascita dell’attuale tracciato della Futa. Si ritiene infatti che in questo periodo si sia sviluppata quell’
arteria stradale che sarebbe diventato percorso privilegiato verso Firenze ed il resto d’Italia soppiantando così gli antichi
percorsi.

A favore di questa ipotesi sono i documenti della famiglia degli Ubaldini risalenti al 1145 in cui Albizzo e Greccio degli
Ubaldini, spartendosi i possedimenti fra Bologna Firenze del padre defunto, si accordano di dividere a metà dei pedaggi riscossi
ai viandanti lungo la strada nelle loro proprietà.





 

Il crescente valore politico e culturale di Bologna e Firenze portò la necessità di rendere più agevoli i traffici e già nel 1200
il podestà di Firenze costrinse gli Ubaldini ad un atto di sottomissione privilegiando così come asse principale dei traffici il
versante destro del Savena.

La strada passava per il ponte di San Ruffillo (documentato per la prima volta nel 1257 ma di epoca romana) e toccava centri di
fondamentale importanza quali Roncastaldo (sede del secondo capitanato della montagna) per dirigersi quindi verso Firenze passando
per Monghidoro, Cavrenno, Le Valli, Cornacchiaia, il passo dell’Osteria Bruciata e S. Agata in Mugello.

 

Si puo’ presumere dunque che nel XII sec. sia avventuto lo spostamento definitivo della Bologna-Firenze alla destra del Savena,
lasciando fuori Monzuno, Brento e toccando invece Pianoro, Guarda, Anconella, Sabbioni, Loiano, Roncastaldo, Scaricalasino
(Monghidoro), il Passo della Raticosa, Pietramala, posta gia’ in territorio toscano.

 

 

La proclamazione del giubileo da parte di Bonifacio VIII nel 1300 segnò la nascita di un nuovo fenomeno; ai viaggiatori abituali
di queste strade (mercanti, prelati, uomini d’arme) si affiancarono folle di pellegrini diretti a Roma per godere dell’indulgenza.
Il fenomeno dovette assumere grande rilievo se il consiglio del popolo di Bologna ordinò nell’ottobre dello stesso anno di
restaurare il tratto di strada tra San Rufillo e Pietramala proprio a causa delle insistenti segnalazioni dei pellegrini che
lamentavano l’esistenza di buche e tratti franati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

LA STRADA DELLA FUTA

 

 


Il cambiamento di tracciato si spiega con il progressivo sviluppo dei nuovi paesi toccati dalla strada: Loiano diviene presto un’
importante centro commerciale e amministrativo e da centro feudale matildico diviene sede di vicario, nel borgo della fratta nei
pressi di Loiano si teneva un mercato fiorentissimo, Barbarolo fu centro religioso con giurisdizione nelle colline dell’Idice e del Savena.





Nel 1306 i Fiorentini nell’intento di indebolire ulteriormente gli Ubaldini
stabilirono che venissero edificate due terre: una nel Mugello e l’altra nella zona montuosa alle sue spalle. La prima di esse,
Scarperia, nacque nello stesso anno, leggermente discosta rispetto alla strada Bologna-Firenze; tre anni dopo si ordinò che il
nuovo centro venisse toccato dalla strada. Probabilmente questa modifica fu attuata in concomitanza con quella più vasta variante
che portò all’abbandono del valico dell’Osteria Bruciata e all’apertura di un nuovo e lungo tronco di strada che si spingeva da
Scarperia fino al passo del Giogo ricongiungendosi al percorso precedente in prossimità di Le Valli. La seconda delle terre
previste, Firenzuola, fu edificata solo nel 1332 e si stabilì anche in questo caso che la strada la dovesse attraversare.

Gli Ubaldini, tuttavia non si erano affatto piegati al volere di Firenze e nel 1342 Firenzuola venne distrutta. Quando poi alcuni
personaggi illustri fiorentini vennero uccisi attraversando l’Appennino le truppe fiorentine si impadronirono di numerosi castelli
di proprietà della potente famiglia e si iniziò a ricostruire la cittadina data alle fiamme.

Il centro abitato subì tuttavia la stessa sorte del precedente quando, nel 1351, un esercito visconteo puntò da Bologna su
Firenze. Scarperia, d’altro canto, resistette eroicamente e la guerra si trascinò senza risultati fino alla pace del 1353, con la
quale i Fiorentini ottennero il controllo della zona montuosa compresa fra Mugello, Imolese e Bolognese.

Gli Ubaldini
continuarono, ciò nonostante, ad essere una forza difficilmente controllabile sino alla fine del XVI secolo, quando il comune di
Firenze acquistò gli ultimi diritti che tale famiglia aveva mantenuto, compreso quello di riscuotere il pedaggio sulla strada
maestra passante per Le Valli.

Nel Quattrocento, epoca in cui si affermò come itinerario abituale dei pellegrini provenienti dalla
Francia e dalla Germania e diretti a Roma, la strada aveva già assunto quel tracciato che avrebbe conservato fino alla metà del
Settecento; La sola modifica di rilievo fu la deviazione operata nel primo Cinquecento tra Loiano e Monghidoro, che portò, a
seguito dell’innalzamento del percorso più a monte, alla decadenza di Roncastaldo, precedentemente secondo capitanato della
montagna.


Il tracciato, per quanto riguarda il territorio emiliano, lasciava Bologna per Rastignano, Sesto e Pianoro. Qui incominciavano le
salite dell’appennino tra le quali erano già menzionati i famigerati poggioli; si passava per Livergnano, La Guarda, Anconella,
Sabbioni e Loiano, si proseguiva poi per la Fratta ed il Bosco per giungere poi a Scaricalasino (così detto per l’asprezza del
monte che costringeva a scaricare anche i muli per oltrepassarlo), Chiesa di Monghidoro, Piano dei Grilli, Ca’ di Luca, Ca’ de
Confini, attraversava il rio delle Filigaie per salire fino al passo della Raticosa in territorio toscano.

Il continuo aumento dei viaggiatori portò ad un sostanziale progresso della viabilità dal secondo decennio del Settecento. Venne infatti dato in appalto nel 1717 il rifacimento del tratto compreso tra la fornace Scarsella (nei pressi di Rastignano) ed il confine: si decise di correggere le salite più impervie e di selciare la strada con sassi e sabbione allo scopo di adattarla al passaggio dei calessi;

la larghezza della strada passò dai cinque piedi a sette piedi e mezzo (circa due metri e mezzo).